ONUeInfanzia
La
 Convenzione ONU sui Diritti dell’infanzia è uno strumento normativo internazionale di promozione e tutela dei diritti dell’infanzia.

Essa esprime un largo consenso su quali siano gli obblighi degli Stati e della comunità internazionale nei confronti dell’infanzia e codifica e sviluppa in maniera significativa le norme internazionali applicabili ai bambini.

Entrò in vigore il 20 novembre 1989 in Italia, ma esisteva già dal 1959.

Tutti i paesi del mondo (eccetto Somalia e Stati Uniti) hanno ratificato questa Convenzione.
La Convenzione è stata ratificata dall’Italia il 27 maggio 1991 con la legge n. 176.
Oggi aderiscono alla Convenzione 193 Stati, un numero che supera quello degli Stati membri dell’ONU.

La Convenzione è composta da 54 articoli e da due protocolli opzionali[1]
La Convenzione è uno strumento giuridico vincolante per gli Stati che la ratificano e un riferimento dove è evidente ogni sforzo compiuto in cinquant’anni di difesa dei diritti dei bambini.

L’adozione della convenzione è ricordato ogni anno, il 20 novembre, con la Commemorazione della Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Nel 1924 con la Dichiarazione di Ginevra, la quinta Assemblea generale della Società delle Nazioni approva un documento in cinque punti dove per la prima volta si fa riferimento ai “diritti del bambino”.

Nel 1948 da tale documento si sviluppa una Dichiarazione in sette punti adottata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). In seguito, il 20 novembre 1959, viene promulgata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la Dichiarazione in vigore oggi, cioè la Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo. I temi sui quali si sono sviluppate tutte queste dichiarazioni sono la necessità ed il diritto del bambino di ricevere protezione e cura.

La nuova Dichiarazione include diritti non previsti nella precedente Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo:

I principali strumenti giuridici internazionali di riferimento per la stesura della Convenzione internazionale sui Diritti del Bambino sono la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ed è maggiore trattati internazionali in materia di diritti umani:

– il Patto internazionale sui diritti civili e politici;

– il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali;

– la Convenzione contro la tortura, e ogni altra forma di trattamento o punizione crudele, inumano o degradante;

– la Convenzione internazionale per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale;

– la Convenzione internazionale contro ogni forma di discriminazione contro la donna;

– la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia.

Un primo disaccordo fu riguardo l’età minima necessaria per poter parlare di “bambino”: dal concepimento o dalla nascita?
Uno dei diritti già stipulati nel 1959 era che “il bambino ha bisogno di una particolare protezione e di cure speciali compresa un’adeguata protezione giuridica sia prima che dopo la nascita”. Non era chiaro se la protezione giuridica dovesse includere anche la proibizione dell’aborto o meno.
Per risolvere il dubbio, si stipulò di arrivare ad un accordo riguardo aborto ed età minima per renderlo esplicito nella Dichiarazione con un articolo aggiuntivo.

Altra discordanza riguardava la libertà di religione: l’art. 14 dichiara “libertà di avere o adottare una religione […] di propria scelta”. Venne fatto notare però che nel contesto islamico un bambino non ha il diritto di scegliere un’altra religione e quindi concordarono di non mantenere tale diritto, nonostante fosse già consolidato nei Diritti Umani.
Inoltre fu motivo di dibattito l’argomento adozione ed ebbe come risultato di garantire maggiore protezione ai bambini coinvolti nell’adozione piuttosto che cercare un processo facile e veloce.

I diritti garantiti dalla Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia sono raccolti in un documento onnicomprensivo senza distinzioni né suddivisioni perché ogni articolo è di uguale importanza, indivisibile, correlato agli altri e interdipendente.
La Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia è stato il primo strumento di tutela internazionale a sancire nel proprio testo le diverse tipologie di diritti umani: civili, culturali, economici, politici e sociali, nonché quelli concernenti il diritto internazionale umanitario.
Il testo contiene anche articoli rivolti alla protezione contro l’abuso e lo sfruttamento e si impegna a far sì che il bambino faccia valere il proprio pensiero.
Il primo articolo con cui si apre il Documento recita «ai sensi della presente Convenzione si intende per bambino ogni essere umano avente un’età inferiore ai 18 anni» e prosegue mettendo in luce dibattiti e compromessi riguardo alla protezione del bambino prima della nascita.
Gli articoli della Convenzione possono essere raggruppati in quattro categorie in base ai principi guida che informano tutta la Convenzione.

Il primo articolo con cui si apre il Documento recita «ai sensi della presente Convenzione si intende per bambino ogni essere umano avente un’età inferiore ai 18 anni» e prosegue mettendo in luce dibattiti e compromessi riguardo alla protezione del bambino prima della nascita.

I quattro principi fondamentali della Convenzione sono:

Principio di non discriminazione: sancito all’art. 2, impegna gli Stati parti ad assicurare i diritti sanciti a tutti i minori, senza distinzione di razza, colore, sesso, lingua, religione, opinione del bambino e dei genitori;

Superiore interesse del bambino: sancito dall’art. 3, prevede che in ogni decisione, azione legislativa, provvedimento giuridico, iniziativa pubblica o privata di assistenza sociale, l’interesse superiore del bambino deve essere una considerazione preminente;

Diritto alla vita, sopravvivenza e sviluppo: sancito dall’art. 6, prevede il riconoscimento da parte degli Stati membri del diritto alla vita del bambino e l’impegno ad assicurarne, con tutte le misure possibili, la sopravvivenza e lo sviluppo;

Ascolto delle opinioni del bambino: sancito dall’art. 12, prevede il diritto dei bambini a essere ascoltati in tutti i procedimenti che li riguardano, soprattutto in ambito legale. L’attuazione del principio comporta il dovere, per gli adulti, di ascoltare il bambino capace di discernimento e di tenerne in adeguata considerazione le opinioni. Tuttavia, ciò non significa che i bambini possano dire ai propri genitori che cosa devono fare. La Convenzione pone in relazione l’ascolto delle opinioni del bambino al livello di maturità e alla capacità di comprensione raggiunta in base all’età.

Il diritto di espressione è sinonimo di libertà.
I bambini imparano a parlare in modo graduale, ma consapevole.
Hanno il diritto di essere ascoltati in particolare quando vengono espresse scelte e sentimenti che si allontanino da quella degli adulti.
La Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia presta attenzione alla partecipazione del bambino e della conseguente possibilità di prendere parte a questioni che lo riguardano. Per la prima volta la questione fu introdotta dalla Polonia nel 1980 con la bozza stesa della Convenzione.

L’art. 12 ha avuto merito nel successo della Convenzione ONU dei Diritti del Bambino. :

Considera il bambino come soggetto attivo, capace di espressione e di pensieri validi.
Il bambino deve poter esprimersi riguardo a tutte le questioni che lo interessano, come il matrimonio e i cambiamenti dell’ambiente che lo circondano.
L’art. 12 stabilisce un legame tra il bambino e la sua vita quotidiana.
Si focalizza sulle circostanze più vicine al soggetto: legami familiari, educazione, scuola, tempo libero, salute.
È collegato allo sviluppo della persona del bambino.
L’art. 12 permette anche al bambino di avere un ruolo attivo.

Meccanismo di Monitoraggio
Meccanismo monitoraggio

La normativa della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia dichiara che uno Stato che ha aderito alla sua ratifica non deve adottare nessuna altra legislazione o apportare modifiche alle norme nazionali che risultino in conflitto con quelle espresse nella Convenzione.
La Convenzione è dotata di natura autoesecutiva (self-executive force) che permette ai singoli cittadini di far valere in un tribunale nazionale i diritti da essa garantiti. Per essere applicata direttamente in una corte nazionale deve essere ratificata, avere un testo chiaro ed esaudiente e senza bisogno di rielaborazioni. Inoltre lo Stato coinvolto deve aver riconosciuto nella propria legislazione nazionale il principio di diretta applicabilità delle convenzioni internazionali.

Gli Stati che riconoscono tale principio possono esprimerlo con modalità diverse: in alcuni paesi, l’applicazione diretta delle Convenzioni Internazionali è stabilita nella Costituzione; in altri il principio è divenuto parte della giurisprudenza.

L’art. 44 prevede che ogni stato sottoponga al Comitato sui Diritti dell’Infanzia un rapporto periodico sui provvedimenti adottati per applicare i principi sanciti dalla Convenzione.
Il primo rapporto deve essere presentato entro due anni dall’entrata in vigore della Convenzione nello Stato; successivamente, ogni cinque anni. Ogni rapporto deve fornire dati riguardo alle misure adottate, che devono essere sufficienti al comitato per confermare l’attuazione della Convenzione. Deve anche indicare i fattori e le difficoltà riscontrate dagli Stati parti e che impediscono di adempire agli obblighi previsti dal trattato.

Alla Convenzione sui diritti dell’infanzia si affiancano due protocolli opzionali approvati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2007 che sono stati ratificati dall’Italia l’11 marzo 2002, con la legge n. 46.

I protocolli sono: il protocollo che riguarda il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati; il protocollo che tratta della vendita, la prostituzione e la pornografia coinvolgente bambini.

(Il termine “protocollo” indica uno strumento giuridico addizionale che completa e si associa al trattato.)

In Italia
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L’Italia ha attuato la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia con legge del 27 maggio 1991, n. 176, depositata presso le Nazioni Unite il 5 settembre 1991.

Il nostro Paese ha presentato il Secondo Rapporto periodico il 21 marzo 2000.

L’esame del Rapporto italiano è avvenuto nel corso della XXXII Sessione del Comitato, il 31 gennaio 2003.

La Costituzione Italiana inoltre, legifera chiaramente quanto segue:

DELITTI CONTRO LA FAMIGLIA: 
Art. 570 Violazione degli obblighi di assistenza familiare.
Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla patria potestà, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032. Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:
1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge;
2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa. Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma. Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un’altra disposizione di legge.
Art. 571 Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina.
Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi. Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni.
Art. 572 Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli.
Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni.

 

Silvia Morini

Coordinamento Pari Opportunità Uiltemp di Frosinone