Aprire gli Occhi:
Intervista del “La 27esima ora” a Hanna Rosin, autrice di “The End of Men”

The End of Man and The Rise of Women Hanna Rosin

Libro acquistabile in: http://www.amazon.com/The-End-Men-Rise-Women

Hanna Rosin, nata in Israele e cresciuta nel Queens di New York, ha scritto per il «Washington Post», il «New Yorker», il «New York Times» e «GQ». È tra le fondatrici del sito al femminile DoubleX, legato alla rivista «Slate». Il suo saggio, «The End of Men», è lo sviluppo di un articolo pubblicato sull’«Atlantic», che ha provocato un ampio dibattito. Il libro, uscito in settembre per Riverhead (pagine 310, $ 27,95), continua a fare discutere. Rosin vive a Washington con il marito David Plotz, giornalista di «Slate», e i loro tre figli.

Il suo libro si intitola «La fine degli uomini». Sottotitolo: «E l’ascesa delle donne». Lei pensa che il movimento femminista, sin dalla prima generazione, si proponesse davvero — accanto all’ascesa femminile — il declino se non la fine dei maschi?

«Nella storia del femminismo ci sono stati momenti, intermittenti, in cui le attiviste sembravano convinte che l’unica strada politicamente corretta e da percorrere fosse quella di diventare tutte lesbiche. Nel suo romanzo Herland, Charlotte Perkins Gilman immagina una società ideale totalmente priva di uomini. Ma, in generale, direi di no, assolutamente. In quanto uomini e donne, noi abbiamo bisogno gli uni degli altri. La maggior parte delle donne, nel corso della storia, ha lottato per raggiungere l’uguaglianza: mai per imporre la sopraffazione».

Allora, come la mettiamo con il titolo: stiamo andando oltre le intenzioni?

«Il titolo più azzeccato per il mio libro sarebbe stato “La fine del macho” oppure “La fine del testosterone” o ancora “La fine di un certo tipo di uomo”. Sottotitolo: “E l’inizio di un altro”. Ma quello che resta è che gli uomini così come li abbiamo conosciuti finora sono veramente finiti. Questo è quanto sta accadendo e in questo senso la fine dell’uomo non è un mito. Le donne dovrebbero fermarsi ad assaporare questo momento storico: hanno raggiunto tanti traguardi che sono costati anni di lotta e di fatica ad altre generazioni. È sbagliato, persino controproducente, concentrarsi sulle statistiche punitive e sui settori dove ancora stravince il divario tra i generi. Non è in discussione il fatto che oggi le donne godano di maggiori opportunità e che le qualità femminili siano molto più apprezzate, rispettate, se non direttamente ricercate in molti luoghi dove si prendono decisioni importanti per la vita economica, politica, sociale. È chiaro che, nella transizione, si creano situazioni scoraggianti. Sempre più donne crescono i figli da sole, per esempio, e questa non è certo una situazione ideale».

Va bene, non dobbiamo concentrarci su quello che non va.Tuttavia non possiamo non vedere che, almeno in Europa, le ragazze si diplomano e laureano meglio dei compagni maschi, ma questo divario colmato — o addirittura ribaltato fino all’università — non si trasferisce nella vita professionale. Secondo le proiezioni di Bruxelles, ci vorranno quarant’anni prima di raggiungere una parità di genere ai vertici delle imprese. Quali sono le ragioni di tanta lentezza? Le metta in fila secondo il grado di importanza: l’ostilità degli uomini al potere; la scarsa autostima di molte donne; l’assenza di infrastrutture che aiutino a conciliare famiglia e lavoro.

«Premetto che queste alterazioni nelle dinamiche del potere sono ancora troppo recenti per produrre mutamenti drastici. Ma i tre fattori qui menzionati sono quelli giusti da analizzare, sono i principali. Primo: non solo gli uomini, ma tutta la società in genere è ancora a disagio davanti al potere femminile. Inquietano l’ambizione e l’aggressività delle donne perché vengono vissute come minacciose per il ruolo tradizionale della madre protettrice della famiglia. Secondo: sono assai pochi i Paesi che offrono strutture adeguate per venire incontro alle donne nella cura dei figli. Terzo: le donne non hanno ancora alzato a sufficienza la voce per reclamare i diritti di base, per negoziare le condizioni salariali di ingresso sul mercato del lavoro e per far riconoscere poi le proprie esigenze sul posto di lavoro».

In questi mesi ha fatto molto discutere l’intervento di Anne-Marie Slaughter, ex direttore del Policy Planning del Dipartimento di Stato americano, secondo la quale le donne non possono ancora avere tutto. È sembrato una risposta indiretta all’ipotesi di una fine più o meno imminente degli uomini. Slaughter si è dimessa dal suo nuovo prestigioso incarico, dichiarando di voler dedicare più tempo alla vita familiare e al figlio. Una scelta che è sembrata una sorta di ammonimento a quante, soprattutto tra le più giovani, finiscono per anteporre la carriera alla famiglia.

«Non credo proprio che le donne antepongano la carriera alla famiglia. A mio avviso, le giovani rimandano il matrimonio e i figli, ma prima o poi si sposano, perlomeno in America. Nel libro racconto alcune delle donne più influenti della Silicon Valley per dimostrare come si possano gestire al meglio aspirazioni familiari e di carriera. Il segreto sta nella creatività abbinata alla flessibilità. Proprio perché è un nuovo settore industriale, senza vecchie strutture e ancor più vecchi codici di comportamento, la Silicon Valley non è condizionata da preconcetti su come debba essere organizzato l’ambiente di lavoro: le donne escogitano soluzioni innovative per seguire le proprie ambizioni e al contempo restare presenti nella vita dei figli. Per esempio, lasciano l’ufficio alle 17 ogni giorno, ma sono nuovamente disponibili online dopo le 21. È faticoso, lo so, ma funziona. Quanto al caso Slaughter, in realtà Anne-Marie era riuscita a gestire perfettamente la sua vita familiare finché era impegnata “solo” in università; le sue difficoltà sono iniziate quando ha accettato un incarico nell’inflessibile antica Casa Bianca».

C’è un altro libro — «Perché fare figli?» di Jessica Valenti — che mette in dubbio il mito della conciliazione possibile famiglia/lavoro. Come spiega la contemporaneità, anche editoriale, di visioni opposte? 

«Anch’io descrivo quanto la morsa del tempo si stia rivelando più dispotica che mai nei confronti delle donne. Ho conosciuto molte donne “capofamiglia”: la verità è che persino le donne che guadagnano infinitamente più dei consorti conservano la responsabilità principale della sfera domestica. Non condivido il pessimismo di alcune riflessioni secondo cui poco è cambiato, ma certamente non credo che divari e problemi siano cosa del passato».

Passiamo allora agli uomini. Come e quanto sono cambiati?

«Ho proposto il concetto di “uomo di cartone”per dare l’idea di quale modello maschile abbiamo osservato nel tempo: l’uomo, storicamente, si è mostrato restio a cambiare o ad adattarsi alle mutate circostanze socioeconomiche. Tuttavia sono convinta che proprio ora ci siano le condizioni per affrontare una transizione più condivisa e puntare a un futuro migliore che vedrà gli uomini poter scegliere in una gamma di opportunità allargate. Come, per esempio, guadagnare meno della moglie e godersi di più i figli. Senza sentire minacciata la propria virilità».

Stiamo davvero andando incontro a un mondo in cui uomini e donne saranno finalmente uguali e complementari, con vantaggi incrociati? Non teme che si tratti semplicemente di un passaggio di poteri, di un riallineamento dei sessi?

 «In questo momento gli uomini sono sotto stress per l’incrocio dei mutamenti socio-economici. Tantissimi faticano o rinunciano a farsi carico delle responsabilità aumentate che derivano dall’essere lavoratori, mariti, padri. È una fase di crisi. Nel mio libro, però, descrivo con ottimismo la nascita di un nuovo modello matrimoniale — quanto meno tra le élite — che chiamo “la coppia altalena”, nella quale uomini e donne si scambiano i ruoli tradizionali di chi porta a casa lo stipendio e di chi si occupa della casa e della famiglia, alternandosi nell’uno e nell’altro ruolo. È un inizio di modernità».

 Se gli uomini sono «di cartone», secondo il modello proposto nel libro, le donne vengono descritte come «plastiche». È una caratteristica innata oppure è un comportamento acquisito, adottato per inserirsi meglio in un mondo maschile? Se la risposta giusta è la seconda, non teme che — una volta al potere — andrà perduta quella buona flessibilità al femminile?

«Sì, è un timore che ho. Non credo ci siano tratti congeniti. Sono convinta che vi siano differenze ormai radicate tra uomini e donne ed è molto interessante osservare il modo in cui queste differenze interagiscono con i mutamenti sociali. La spinta dietro gran parte delle donne oggi è la consapevolezza di essere state emarginate e di dover lavorare il doppio per raggiungere gli stessi obiettivi degli uomini. Da qui la flessibilità. In America gli uomini si sono dimostrati molto più flessibili in altri momenti storici, come dopo la Seconda guerra mondiale, quando si accorsero di essere rimasti indietro e approfittarono in massa dell’opportunità di iscriversi all’università per esplorare nuovi ambiti professionali. In questo momento, però, sono le donne a dar prova di maggior “plasticità”».

Pazienza, spirito di adattamento e di emulazione, resistenza. Si direbbe quasi che le qualità della «donna plastica» siano le stesse che spiegano secoli di sottomissione. Non c’è contraddizione?Non c’è il rischio di spinte e controspinte?

«È interessante notare come nei test sulla personalità le donne si definiscano portatrici di caratteristiche femminili e anche maschili, pertanto sono solidali e dominanti al tempo stesso. Credo che con il tempo saremo capaci di mostrare un’aggressività più naturale e sapremo difendere i nostri interessi senza falsi pudori. Inoltre, forse impareremo dagli uomini a ignorare i condizionamenti sociali e a dominare la paura di non farcela. In genere le donne cercano il consenso, puntano a farsi apprezzare da tutti e ancora oggi pagano un prezzo pesante se riducono la propria disponibilità. Sono moltissime le ricerche che rivelano come sia gli uomini sia le altre donne penalizzino le donne che nell’ambiente di lavoro si dimostrano “scarsamente femminili” secondo i canoni tradizionali. Le cose tuttavia cominciano a cambiare, come vediamo in Hunger Games o in tanti personaggi femminili assai ruvidi e grintosi che cominciano a farsi strada nel cinema. Questa è una grossa novità!».

In realtà la sensazione di chi osserva le donne sul posto di lavoro è che, dopo un balzo iniziale, alcune — non poche — si arrestino: preferiscono fare altro.

«È vero. Tra i problemi che affronto c’è proprio quello delle donne che sembrano gettare la spugna nel bel mezzo della carriera. Non vogliono passare il resto della vita a dare la scalata alle gerarchie imprenditoriali. Su questo argomento non ho una risposta univoca. Da una parte, vorrei vedere donne pronte ad andare avanti, fosse solo per offrire un esempio alle altre. Dall’altra, non me la sento di dire a tutte le donne che devono dedicarsi esclusivamente al lavoro! Forse abbiamo un’idea più ampia della felicità».

Lei ha tre figli. Suo marito l’ha sempre aiutata a svolgere il suo ruolo di madre, giornalista e scrittrice?

«Sono fortunata, vivo in un rapporto paritario. Sia io sia mio marito abbiamo sempre lavorato e condiviso la cura dei figli. Sono io quella che si preoccupa di più per i ragazzi, ma è lui quello che cucina più spesso e paga le bollette. Siamo anche pronti a concederci i nostri spazi per viaggiare e per occuparci di progetti che riguardano solo noi stessi».

Come vivremo tra cento, duecento anni?

«Negli Stati Uniti avremo il nostro 14° presidente donna. Il mio pronipote guadagnerà meno della sua compagna, resterà a casa il venerdì per lavorare sui suoi progetti artistici e andare a riprendere i bambini a scuola, e nessuno ci farà caso. Sono convinta che già le nostre figlie, e i nostri figli, trarranno vantaggio da un futuro diverso. Allargare il ventaglio delle scelte fa bene a tutti, maschi e femmine. In questo momento mi sembra che gli uomini siano intrappolati in una definizione molto rigida della mascolinità. Pertanto, se mio figlio deciderà domani di lavorare meno per occuparsi di più dei suoi bambini, mi auguro che nessuno penserà che sia un tipo strano. E se mia figlia dimostrerà di avere polso nel mondo degli affari, non vorrei che venisse penalizzata».

Se siamo davvero prossime alla fine degli uomini, saremo presto più sole?

«Alcune donne si ritroveranno più sole quando si renderanno conto che gli uomini che hanno attorno o accanto non sono all’altezza del cambiamento».

Che pensa del successo della trilogia porno-romantica delle «Cinquanta sfumature»? Non teme che, malgrado tutto, le donne continuino a sognare un uomo potente, bello, forte, superiore?

«Le possibilità sono due: o si tratta di una fantasia creata da donne dominanti, che si dilettano a pensare un uomo interamente votato a soddisfare i loro piaceri. Oppure, in questo momento di crescente affermazione femminile, noi donne ci concediamo un’ultima nostalgia per un’era in cui eravamo più deboli e gli uomini sapevano offrirci protezione. O ancora, terza possibilità: l’immaginazione corre a briglia sciolta e se la ride delle nostre riflessioni sulla realtà».

(Traduzione di Rita Baldassarre)

Silvia Morini
UIL Frosinone

(*Fonti: http://27esimaora.corriere.it)